3 – Quando una sapienza rende ragionevoli: “E’ il Signore”
Giovanni, il discepolo che Gesù amava, nel vedere la rete piena di pesci, disse a Pietro: E’ il Signore!” (Gv 21,7).
Il frutto di quella pesca abbondante gli appare in una nuova luce, che lo Spirito mette nell’intimo del suo cuore. In un incrociarsi di sguardi, capisce: “Sì, è il Signore”.
La fede in Dio non nasce nei nostri libri: nasce in cammino, sempre in un incrociarsi di sguardi. Molto tempo fa, quando Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli se volevano andarsene e abbandonarlo, come aveva fatto la folla, si erano guardati. Negli occhi dei compagni avevano attinto la risposta: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68)
La fede non nasce dalla sola contemplazione della vita: non nasce neppure in una semplice relazione umana. Essa appare al crocevia della vita, in una sintesi dell’esistenza, illuminata dallo Spirito di sapienza. Alla tomba, Giovanni aveva visto il lenzuolo: per primo, vide e credette” (Gv 20,8) mentre Pietro non capiva ancora nulla. Qui, in un incrociarsi di sguardi, Giovanni ha capito per primo che questa pesca sovrabbondante era proprio l’opera del Risorto, e Pietro – poi – si è fidato della fede di Giovanni per lanciarsi, senza esitare, verso Gesù.
Il grido di Giovanni è un grido di pasqua: E’ il Signore!”
La sapienza ha volto lo sguardo e il cuore di Giovanni in un’altra direzione: e lui si è aperto agli indizi della presenza di Gesù.
Quando ci manca l’intuizione che Gesù è il Signore, le nostre azioni ci sfiniscono e ci lasciano privi di vita. Affondiamo in un volontarismo freddo: stringiamo i denti per restare pii, corretti senza convinzioni, militanti rigidi, bambini docili a una legge che ci è imposta dall’esterno. Non siamo più dei credenti, solo dei praticanti che non credono.
Ma quando lo Spirito ci apre alla gioiosa consapevolezza che lo sconosciuto del lago è il Signore che opera nelle nostre vite, che noi l’amiamo perché lui ci ha amati per primo, allora le nostre vite sono rimesse a posto. Esse si riordinano. Allora la vita in lui diventa una grande festa. […] Quando ci sappiamo amati, diventiamo gentili e capaci di amore. Quando in noi si inscrive la tranquilla sicurezza che Gesù è il Signore delle nostre vite non perché ci appartiene, ma perché noi siamo suoi, allora ritorna l’ordine nelle nostre vite. Lo Spirito di sapienza ci fa tornare al vero buon senso, quello di Dio. Ciò che ci sembrava follia è, di fatto, una grande sapienza. Finché non lasciamo che lo spirito di Dio ci faccia comprendere la gratuità del dono, restiamo nel registro del compiacere gli altri, del commercio religioso o morale. Restiamo nella logica dell’obbligo. Per diventare vivi, ciò che siamo e ciò che facciamo deve procedere da una necessità interiore mossa dall’amore di Dio in noi: lui è inscritto nella profondità del nostro essere fin dalla nostra origine. La sapienza ce lo svela giorno dopo giorno.
Quando le nostre vite procedono “dall’amore di Dio…..riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato” (Rm 5,5), esse diventano feconde. E le reti si riempiono.
“Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste intorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare” (Gv 21,7). Dal grido di Giovanni si è sprigionata una tale forza da sciogliere Pietro dalle convenzioni che lo trattenevano. Si è sentito personalmente attirato. Si tuffa spontaneamente. E’ un atto un po’ folle.
Riconoscere Gesù sulle nostre rive fa di noi degli esseri audaci e liberi: acconsentendo a questo Spirito di abitarci, diventiamo ciò che noi siamo.
Non si può amare restando al riparo. Questa è l’esperienza di Charles de Foucauld e che tanti altri hanno vissuto prima o dopo di lui: “Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per lui: la mia vocazione religiosa risale allo stesso momento della mia fede”.
Pietro, gettandosi in acqua, rispondeva alla chiamata rivolta qualche secolo prima al suo antenato Abramo: “Va’ verso di te”, per la tua felicità e per il tuo bene (Gen 12, 1-3).
La sapienza ci insegna ad appoggiarci sugli altri, ad allentare la tensione, ad aprire la mano, ad abbandonare le preoccupazioni, i pensieri, i progetti e i rimpianti che ci assalgono, ad allontanare tutto ciò che ci ingombra e che chiacchiera in noi. Essa ci rende ragionevoli della stessa ragione di Dio.