Lettere dal Kenya – 5
30 marzo 1985 Nairobi (Eastleigh)
… Sto trascorrendo giorni molto belli, quieti, pieni, nella sostanza è la vita di tutti questi miei anni d’Africa: mi ritrovo a sera stupefatta perché un nuovo giorno è passato e io l’ho bruciato negli impegni per gli altri e nella gratitudine più palpitante a Dio per questa vita che è un privilegio, che è tutta un dono. Questi giorni di studio trascorrono un poco come un sogno, mi sembra una cosa talmente grande, una specialissima benedizione che mi colma ogni giorno con una forza di novità e di consolazione veramente straordinaria. Non mi ci sono proprio abituata! E’ una tale grazia! Barwaka! Dicono i miei somali, è la benedizione di Dio, l’abbondanza, il tempo delle vacche grasse, dell’erba alta fino alla vita, del latte a sazietà: sette volte al giorno, i tungi ricolmi di quel nettare bianco caldo e fumante che per loro è il simbolo della vita. Ieri ho finito da sola il libro di testo di somalo che copre quattro settimane di studio e ho cominciato lo studio sistematico dei tre libri di grammatica che in questi giorni ero appena riuscita ad assaporare in qua e in là; è affascinante lo studio di una lingua. Si va diritto al cuore del popolo e io, con la mia natura sostanzialmente ingorda e dissipata, mi butterei alle spalle ogni altro impegno e lavoro, pur profondamente amati, pur di poter continuare a studiare. E intanto la mente e il cuore galoppano e io perdo le briglie e sogno di poter studiare anche lo swahili sui libri… sono tanti anni che porto questo sogno nel cuore! Io parlo lo swahili fluentemente, ma è tutto scorretto, proprio come lo parla la mia gente… non ho potuto passare un solo giorno sui libri di grammatica in tutti questi anni. Come vorrei esprimermi in maniera corretta, esauriente, come vorrei poter dire le cose del cuore e dello spirito! E poi vorrei studiare il borana perché metà dei miei tubercolosi parlano il borana come lingua madre… E poi vorrei studiare… quante cose vorrei studiare! La mia natura è insaziabile. Eppure è già saziata e io sono pronta per l’incontro con Dio e ho sete di vedere il Suo volto. Non temo. Le mie colpe sono più dei capelli del mio capo, ma io ho fiducia nella sua misericordia.
30 giugno 1985 Wajir
Carissimo babbo… Sai che sono rimasta sola… La fisioterapia continua grazie alla Inge, la casa sta in piedi grazie a me e alla Khali, che tuttavia ora è a scuola tutto il giorno. La manyatta dei tubercolosi è il dono più grande della mia vita, ma ti immagini che giostra con più di trecento tubercolosi quasi tutti molto malati e tutti gravemente disturbati psicologicamente perché hanno la tb.
… Io bene. Mangio, lavoro molto, dormo relativamente, faccio un lavoro meraviglioso, voglio amare, voglio amare, non aspiro a nulla di grande, a nessuna ricompensa, sono un inno incessante di gratitudine per questa vita che mi è stata donata da vivere.
Credo che Annalena Tonelli, nella sua vita e nella sua morte, sia come una lettera che lo Spirito ha scritto alla Chiesa. Lo Spirito racconta Gesù in noi. E la nostra identità è direttamente legata all’amore di Cristo sperimentato una volta per tutte nella sua morte.
Del resto, le testimonianze raccolte che ci separano dal suo assassinio, nell’ottobre del 2003, attestano come la sua memoria e la sua opera siano vive, come Annalena continui ad agire concretamente attraverso le molte e diverse persone che ha incontrato, come cresca la comprensione di lei.
In questo Annalena è una pagina aperta e misteriosa. Un paradigma del cristiano, lei che ha scelto di vivere nel nascondimento i suoi giorni; un’attestazione, lei che ha scritto ai suoi, in quello che può essere considerato il suo testamento, semplicemente, “non parlate di me!”.
Una donna giovane, colta, elegante, laica, che sceglie il vangelo sino alle estreme conseguenze.
Dell’insegnamento di Charles de Foucauld ha condiviso la traccia sostanziale fino al sacrificio della sua vita.
Vorrei che questo libro fosse letto lentamente, tenuto sul comodino, pensato, vissuto con la mente e con il cuore, in silenzio, senza rumori. Questo perché è nel silenzio che si incontra Dio; lontano dai rumori sei quasi costretto a pensarlo e a confrontarti con lui.
Il vivere nella confusione continua, cercata e talora assordante, è per dimenticare, per non sentire la sua sfida, per stare in difesa e alla fine non essere coraggiosi.