Lettere dal Kenya – 4
28 agosto 1979 Wajir
La poliomielite continua intanto a infierire e a fare le sue vittime. Non c’è un solo vaccino della polio da più di sei mesi in tutto il paese. Ho parlato col vecchio dr. Timms l’ultima volta che sono stata a Nairobi. Lui è il decano di questi servizi qui in Kenya, lavora ancora col governo perché ci crede nonostante le mille frustrazioni, mi diceva che se potesse fare lui da solo, nel giro di una settimana ogni angolo fino al più remoto del paese avrebbe i suoi vaccini. Ma non può muoversi perché gli altri non si muovono.
Mal amministrazione, disonestà professionale, irresponsabilità, indifferenza… e in pieno 1979, mentre in tanti paesi del mondo non si vaccina neppure più perché la polio è stata completamente debellata, qui, in un paese dell’Africa dove pur si cammina e forte, una malattia che non perdona continua a mietere vittime innocenti. I poveri trovano lavoro e dignità e capacità di sorriso in un villaggio, i malati possibilità di guarigione all’ospedale e qui da noi i tubercolosi fioriscono alla vita, alla speranza vigorosissima di vittoria sulla malattia per tutti gli anni che Dio ha riservato loro da vivere, al di là della strada. Ma le vittime della polio, da questa parte della strada, nella nostra casa, stanno sì in piedi e camminano in qualche modo trascinandosi nei loro pesanti apparecchi di ferro o saltellando pateticamente sulle loro grucce grazie alle cure e al lavoro amoroso della Liliana e dell’Anna. Quelle gambine però sono morte per sempre e la vita non tornerà mai più a scorrervi dentro e loro i “giss”, gli zoppi, come li chiamano qui e perfino il ricordo del loro nome da solo si perde, i “giss” sono giss e rimarranno giss per la vita e per sempre nel ricordo dei discorsi degli uomini….
26 maggio 1981 Wajir
Questa sera ho sentito dire che oggi è arrivato un aereo carico di zucchero, che però non è stato ancora messo in vendita. La tensione è grossa. La gente soffre la fame. Noi legate al nostro manipolo di bambini, di malati, di handicappati, abbiamo fatto finora ben poco per loro. Ma viviamo sotto la morsa. Cosa fare? Per ora siamo fedeli a questi nostri, ma se continuerà così non potremo rimanere inerti. Si parla spesso di fame in questi giorni, noi ascoltiamo commosse i racconti di Elsa di quando era bambina d’inverno e a casa sua non avevano niente da mangiare e i loro bambini tornavano a letto con un pezzettino piccolo piccolo di piadina e ne facevano tante bricioline e giocavano e non sentivano più fame e ridevano e ridevano e godevano stupiti l’incanto della neve che continuava a cadere, paralizzando ogni giorno di più la vita e la sua mamma che piangeva. Io ricordo come se fosse ieri tutti i racconti della mamma di quando faceva la fila con la tessera in mano in tempo di guerra e a giorni la facevano passare avanti perché aveva il pancione e sotto tutti i cieli del mondo l’uomo è più buono verso la donna che porta in grembo una vita; anche qui quando arriva qualcosa la gente fa la fila, dicono fila anche i somali di Wajir (è un’esperienza “europea”, “cittadina”, la fila. Il nomade non conosce fila nella sua vita), e ci sono gli ascari col manganello per tenere a bada la gente urlante sempre pronta a battersi e a insultarsi per passare avanti.
Intanto la shamba di Alain comincia a metter fuori i primi fagioli, le prime melanzane, le prime pannocchie di granoturco, ma è ben poca cosa, forse perché quando ci sono state le varie invasioni di cavallette, di vermi, di bruchi, Alain non c’era. Ma il luogo è verdissimo, un incanto per gli occhi e per il cuore. Tutto è ancora verdissimo: le pozze d’acqua ci sono ancora, anche se vanno assottigliandosi ogni giorno. L’altro giorno ero alla scuola elementare di Daud e della Khali, la loro pozza sembrava un mare, le acque blu-azzurre increspata dal vento, le bimbe in uniforme: camicetta e pantaloni bianchi e gonnellina verde, che giocavano sulla riva, i maschietti più coraggiosi che nuotavano al largo, il cielo azzurro smagliante, il sole allegro e vivificante di questi primi giorni d’inverno… una scena da favola, un senso di primavera, di giovinezza, di pace bucolica, di assenza di sofferenza. Il miracolo della pioggia nel deserto, per la prima volta dopo undici anni scopro i muri della nostra casa ogni giorno un poco più verdi, più umidi, più odorosi di muffa; il muro di cinta tutto colante verde e umidità con i suoi cocci di vetro in cima e carico di rami frondosi dell’acacia indiana del cortile (assomiglia a un giuggiolo selvatico, dolci ricordi dell’orto della nonna a Castelguelfo) mi rapisce ogni volta.
Quanti dolci ricordi… tutto è favola, tutto è meraviglia per il cuore che sa stupirsi, che sa incantarsi davanti alla infinita bellezza del mondo. Stupiamoci, meravigliamoci, incantiamoci insieme! Buttiamoci alle spalle lamenti, ripiegamenti, tristezze, malinconie… Viviamo di meraviglia! Dio è bellezza, gioia, fedeltà.
… Ho ancora un quarto d’ora di luce elettrica e poi debbo spegnere per non rimanere senza diesel… perché il buio è povero, il buio illuminato dalle lanterne è molto dolce e ispira pace e dolcezza nel cuore… solo che se si vuole scrivere qualcosa la debole luce delle lampade e le centinaia di insetti che vi impazziscono dentro, complica il già complicato stato fisico e mentale.