4 – La misericordia divina
La mitezza e l’umiltà del cuore (Matteo 11, 29)
“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Spesso troviamo questa scritta associata a una statua o a un’immagine del Sacro Cuore. Il colore roseo di queste sculture e l’aspetto dolcemente malinconico di Cristo danno loro un carattere sentimentale, perciò alcune persone lo trovano irritante. Darebbero volentieri a questo passaggio del Vangelo un significato un po’ più virile. Ricordo un predicatore che cercava a tutti i costi di dimostrare agli studenti che la mansuetudine e l’umiltà di Cristo non possono degenerare nella passività, e che al contrario sono coraggio e forza interiore. Mite e umile può essere solo l’uomo che riesce a dominarsi perfettamente. E se chiama a sé gli stanchi e gli oppressi, lo fa per difenderli, non per piangere assieme a loro. Solo allora troveranno rifugio in lui, quando potranno aver fiducia nella sua forza.
Non ho nulla in contrario all’ideale di un Cristo e del cristiano coraggioso, ma interpretando i testi biblici si corre il pericolo di allontanarsi dallo spirito in cui furono scritti. Del resto, per la maggior parte ci basiamo solo su traduzioni in lingue moderne, che spesso offuscano la freschezza originaria del testo o cancellano le sfumature di un’espressione. Gli ebrei pensavano in maniera universale. Si dice scherzando che le lingue moderne hanno venti parole per dire la stessa cosa, mentre l’ebraico ha una parola sola per esprimere venti cose diverse che sono collegate tra loro.
Una di queste parole globali che si incontrano spesso nella Bibbia è il termine hesed. Si tratta di un attributo divino, che è difficile far corrispondere a qualcosa nel linguaggio ordinario della gente. Tutto ciò che gli uomini sapevano di Dio lo sapevano dall’esperienza, cioè dal modo in cui egli agiva con loro, che si esprimeva con il termine hesed. Questa parola viene spesso tradotta con “misericordia”, nel senso di “pietà per le persone”. Nel secondo capitolo di Osea ciò è approfondito in maniera suggestiva. L’anima umana non è fedele a Dio, merita i suoi rimproveri, ma Dio la conduce nel deserto, dove la conquisterà con la sua misericordia (hesed) e le rinnoverà tutte le promesse messianiche. L’anima si rallegrerà e inizierà a cantare come nei giorni della sua giovinezza (cioè quando il popolo ebraico uscì dall’Egitto), e sentirà la voce di Dio: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2, 21-22). La misericordia divina comprende dunque tutto: la legge, la gentilezza, l’amore, la fedeltà.
Troviamo un simile pensiero anche nel capitolo 54 di Isaia. Dio ha abbandonato l’anima infedele per un po’, ma poi torna da lei e la colma dei suoi benefici. “Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata…tuo sposo è il tuo creatore” (Is 54,4.5). Forse nella maniera più eloquente ciò è espresso nel Salmo 136 [135], detto anche il Salmo del “Grande Alleluia”, ma potrebbe anche essere chiamato del “Grande Hesed”. E’ una litania di tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini e la risposta suona sempre così: “Eterno è il suo hesed (la sua misericordia)”. Nel Vangelo leggiamo che Gesù dopo l’ultima cena cantò con gli apostoli un inno; era proprio questo Salmo. E subito dopo si accosta un’altra cosa alle molte manifestazioni della misericordia divina: il cammino verso il monte degli Ulivi, la morte e la crocifissione.
La teologia biblica ha un carattere speciale. Non esprime ciò che è Dio; veniamo a saperlo da ciò che ha fatto. Mosè per un momento ebbe la tentazione di vedere Dio e gli disse. “Mostrami la tua Gloria!” (Es 33,18). Dio gli promise che gli avrebbe mostrato il proprio splendore, certo, e aggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,20). Gli disse di mettersi dietro a una roccia. “Quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33, 22-23). Simbolicamente vi è espressa tutta la teologia dell’Antico Testamento: vede Dio che passa da una grande azione all’altra. E’ la stessa cosa che intende l’autore del Salmo 136 quando scrive tutto ciò che Dio ha fatto per la sua gente, ma contemporaneamente si chiede: perché ha fatto tutto questo? Trova solo una ragione, l’hesed. Perché “eterna è la sua misericordia”. Il culmine della misericordia divina, poi, è l’incarnazione del Figlio di Dio: è divenuto uomo “per noi e per la nostra salvezza”.
Certamente non è un caso che nel Vangelo abbiano il proprio posto prostitute pentite e pubblicani. E’ la continuazione di ciò che è già stato detto più volte in modo figurato nell’Antico Testamento. A qualcuno piace interpretarlo nel senso che Gesù non giudichi in maniera così severa i peccati corporali, né la sventatezza e il furto di denaro, e che ritenga il peccato principale e vero solo la superbia che aveva trovato nei farisei. Perciò quel rimprovero tagliente: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31). Forse, però, questo può indicare anche un altro punto di vista. Gli ebrei avevano una profonda avversione nei confronti dell’infedeltà e dell’inaffidabilità: l’infedeltà coniugale veniva punita con la lapidazione. E poiché la prostituta è una donna che non è fedele a nessuno, non merita alcun rispetto; analogamente si disprezzava anche un uomo inaffidabile nelle questioni di denaro. Eppure la misericordia divina giunge a intervenire anche là e riesce a vincere anche coloro che ne sono più distanti.