3 – Tre passi verso il Natale
Per noi, per noi, è nato per noi … (Luca 2, 1-14)
Mi si ripresenta alla memoria il ricordo di come si celebrava da noi in chiesa il Natale durante la mia infanzia. Lo si faceva tre volte. Alle sei del mattino c’era una messa che veniva chiamata “mattutina”. Alle undici del mattino c’era la cosiddetta messa “grande” o “solenne”. Poi, alle cinque del pomeriggio, nella cappella del convento si teneva una funzione dedicata a Gesù Bambino nella mangiatoia. Già da ragazzo m’ero accorto che non erano semplicemente tre diverse cerimonie, ma che in ognuna predominava anche uno stile diverso. Naturalmente all’epoca ignoravo quale fosse la differenza. Oggi ormai, sarei in grado di darne una spiegazione corretta basandomi sull’approccio heideggeriano nei confronti della religione. Heidegger aveva definito tre diverse fasi dell’atteggiamento dinanzi alla fede: la prima estetica, la seconda morale e la terza religiosa.
Il primo atteggiamento era incarnato dalla signorina B. Per tutto l’anno non andava in chiesa, ma il giorno di Natale si alzava la mattina presto, partecipava al coro e si metteva a cantare con squillante voce di soprano: “Natale, Natale, benvenuto a te! A noi nel cuore col freddo della neve porti il calore, quando intorno il gelo c’è”. Non era l’unica che soggiaceva alla poesia del Natale per motivi estetici. Le vecchie consuetudini familiari, i canti di Natale, l’atmosfera di regali mutui sono tutte cose che confortano nel trambusto del quotidiano; ci ricordano l’esistenza di altri valori, oltre al denaro e al successo nel lavoro. Ma sono valori religiosi questi? Solo lontanamente; ecco perché molti li disprezzano come una forma di sterile sentimentalismo.
Tuttavia, non è il caso di guardare dall’alto in basso questo genere di spontanei impulsi umani. Le esperienze estetiche arricchiscono comunque la vita. Ricordo che a Roma un turista, additandomi la cupola della basilica di San Pietro, osservò provocatoriamente: “Ma Cristo Signore ne ha bisogno per la sua gloria?”. Io risposi abbastanza semplicemente: “No, non ne ha bisogno Cristo. E’ la gente che ha bisogno di Michelangelo e della sua arte”. O forse gli artisti devono farsi un nome soltanto decorando la Banca Commerciale? Certo la poesia, la musica e l’arte figurativa non sono ancora religione, ma una via che porta alla religione, a patto che siano genuine e sperimentate con sincerità. E questo vale anche per la magia del Natale.
Ma torniamo ai miei vecchi ricordi. Alla messa del mattino andavo con mia madre, poi alle undici andavo con mio padre a quella “grande”. In quest’ultima il predicatore era un giovane prete zelante, e i temi dei suoi discorsi esprimevano proprio quella che è la seconda fase dell’atteggiamento religioso: il punto di vista morale. Non si esprimeva molto sulla poesia del Natale, si presentava piuttosto come un severo moralista che mostra alla gente come la vera celebrazione del Natale non consista nei bei canti, nei cori, nella musica, ma nell’imitazione di Cristo. Così come egli si è abbassato fino a noi infelici, anche noi dobbiamo avvicinarci con amore a coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. La religione non ci richiede di abbondare di sentimenti, ma di rispettare i precetti. Non dobbiamo essere quelli che dicono “Signore, Signore”, ma quelli che adempiono ai comandamenti del Signore (Mt 7,21).
Questo è un atteggiamento tipico di tutti i movimenti di riforma sorti all’interno della Chiesa. Ma all’interno della Chiesa i moralisti devono stare attenti a non limitarsi alla banale imitazione del sogno degli ideologi che volevano riformare il mondo, invece di aspirare a mostrare la bellezza dell’insegnamento evangelico. La Chiesa deve sì esigere il risanamento della morale, mettere davanti agli occhi della gente la meta, l’immagine di un mondo migliore, ma dev’essere anche consapevole che il suo successo in quel campo non sarà mai compiuto finché non sarà lo stesso Cristo a portarlo a termine. In questo modo passiamo, dunque, alla terza fase, che abbiamo definito religiosa nel vero senso della parola. La Chiesa predica la moralità e scrive ammaestramenti su come evitare il peccato, tuttavia non si fa illusioni: siamo uomini deboli e cadiamo continuamente nel peccato. Le eresie medievali volevano allontanare dalla Chiesa i peccatori. La dottrina ortodossa, al contrario, insegna che anch’essi appartengono alla Chiesa, perché solo qui possono purificarsi dal peccato. Non si promette loro che non ricadranno mai nel peccato, ma che nella Chiesa potranno incontrare qualcuno in grado di rimettere loro i peccati. Il vero atteggiamento religioso si trova in questo incontro personale. E’ proprio quello che incontravo nella mia infanzia nel corso della terza funzione natalizia, pregando il Salvatore nella mangiatoia, mentre cantavamo: “La natura nostra umana volle prender su di sé…il maligno è derubato, l’uomo è riscattato….”
La religione è l’incontro dell’uomo con Dio.
Lo dicono tutti; ma qual è la loro immagine di Dio? Qualcuno mi ha detto: “Per me Dio significa l’ideale di ogni bene”. Anche Platone lo definiva così, come in generale tutti gli idealisti. Vogliamo incontrarlo? A essere sinceri dobbiamo riconoscere che, nel vero senso della parola, l’incontro con un ideale è un incontro con se stessi, con le proprie idee. Ma queste ultime, pur indicando dov’è il bene, non liberano l’uomo dal peccato e dalla debolezza. Anche secondo noi cristiani in Dio si ritrova ogni ideale di bene e di bellezza, e dunque abbiamo nei suoi confronti un atteggiamento morale ed estetico; noi, però, crediamo inoltre che Egli sia una persona reale che si è fatta uomo. Noi prendiamo parte a un dialogo con Lui, fiduciosi nella sua bontà e nella sua potenza. Quando giungeremo a comprenderlo, allora potremo cantare dal profondo del nostro cuore: “Per noi, per noi, è nato per noi …”