2 – Alla ricerca di Gesù
Il quadro evangelico su cui vogliamo riflettere è quello della “perdita di Gesù nel tempio” (Lc 2,41-52), racconto che sfida le nostre capacità interpretative provocandoci intimamente.
“Si recavano tutti gli anni a Gerusalemme”. Gerusalemme è parola magica per gli Ebrei. Ancora oggi è il simbolo di tutta una realtà, di un’esistenza, di una storia e di una speranza. L’evangelista, per sottolineare l’importanza del tema, ripete per tre volte il nome di Gerusalemme: “Si recavano tutti gli anni a Gerusalemme… il fanciullo rimase a Gerusalemme… tornarono in cerca di lui a Gerusalemme”.
Occorre riflettere su questa parola non soltanto nel suo significato di luogo centrale nella storia salvifica, ma anche come uno dei poli della storia dell’infanzia e poi della vita di Gesù… la storia dell’infanzia di Gesù comincia a Gerusalemme, ha in Gerusalemme il suo culmine con la presentazione al tempio, termina a Gerusalemme.
A Gerusalemme terminerà, secondo la narrazione dell’evangelista Luca (cap.24), la vita terrena di Gesù.
A Gerusalemme incomincerà la storia della Chiesa (At. 1) che si estenderà fino ai confini della terra.
La “città santa” è così il luogo della rivelazione del disegno di Dio, in cui il disegno di Dio inizia, raggiunge il suo culmine e si espande. Per questo rimane l’icona della manifestazione della gloria divina nella storia.
“… Si misero a cercarlo tra parenti e conoscenti; non avendolo trovato tornarono in cerca di lui”
“Si misero a cercarlo”…. “in cerca di lui”: riprendo questo verbo mettendolo in relazione alla risposta che darà Gesù: “Perché mi cercavate?”. La ricerca di Gesù è la ricerca di Dio ed implica tutto il cammino dell’uomo.
Ricordiamo che il verbo è quello della prima domanda di Gesù ai due discepoli che gli si avvicinano: “Chi cercate?” (Gv 1,38)
Cercare è simbolo del cammino dell’uomo verso la verità e, nella ricerca di Maria e di Giuseppe, è contenuto l’affetto, l’amore, l’ansia. E’ insomma un “cercare” che ha tutte le valenze, le bellezze, le vibrazioni della ricerca.
Per questo è molto strano il rimprovero di Gesù “Perché mi cercavate?”, e ci sconcerta.
[…] L’obbedienza a Dio è accettare che si riveli nella concretezza di questo Gesù crocifisso, umiliato, di questa Chiesa povera, debole, di questa comunità, di questa mia mente con le sue ottusità, di questo mio corpo con le sue malattie, di questa mia vita spirituale con le sue fatiche. Vorremmo sempre trovare Dio altrove e così perdiamo il punto della situazione storica reale. Soltanto quando ci rassegniamo al fatto che la nostra ricerca è affanno e non ricerca vera, ci accorgiamo che sostanzialmente abbiamo già ciò che cercavamo.
[…] Gesù ha permesso che i suoi genitori sperimentassero la nebbia dell’oscurità, il disagio dell’aridità, il crescente dolore di chi cerca il Signore e non lo trova. Gesù è quindi vicino a chi vive questa sofferenza e sperimenta il silenzio misterioso di Dio. Per tre giorni Maria e Giuseppe non sentirono più la sua voce a cui erano abituati da mattino a sera: la voce, la Parola tace. Tace mentre si affacciano le ipotesi più nere, più sconvolgenti, e l’ansia è dolorosissima, è una prova acutissima della fede.
Il mistero del silenzio di Maria possiamo intuirlo nella preghiera e soltanto in essa: Maria non si domanda niente, non rimugina, non si ferma a pensare sugli eventuali sbagli commessi. Maria, credo, ci dà la preziosissima indicazione del rimanere attaccati all’azione presente senza fermarsi sul passato e senza evasive costruzioni sull’avvenire. E’ il modo più vero per vivere ed accettare il silenzio di Dio.
“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
“bisogna, devo, è necessario” che io sia nelle cose del Padre, è la formula-chiave del duplice mistero della passione e risurrezione per la quale Gesù tornerà al Padre (io sono col Padre, io sono nel Padre, io devo stare nella casa del Padre). Prima di ora lui non l’aveva detto, e comunque, anche se era detto nell’annuncio dell’angelo a Maria, non era successo niente. Qui invece lo manifesta con una estrema forza.
La risposta di Gesù adombra il mistero redentivo: bisogna, è necessario. E’ la parola che, per designare il suo mistero pasquale, ritroveremo al termine del Vangelo di Luca: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (24,26)
“Ma essi non compresero le sue parole”. Di fronte alla manifestazione così cruda del mistero e delle sue conseguenze, Maria e Giuseppe non comprendono, devono fare ancora del cammino.
E’ la parola che Luca usa per l’incomprensione degli apostoli di fronte a Gesù che spiega loro come il Figlio dell’uomo dovrà soffrire: “Ma essi non compresero questo” (9,45); “Ma non compresero nulla di tutto questo” (18,34)
Indica il nostro annaspare di fronte al mistero della morte e risurrezione di Gesù. Maria e Giuseppe, pur se in maniera sottomessa, umile, accogliente, hanno vissuto prima di noi questo brivido del non capire.