Henri J.M. Nouwen – L’abbraccio benedicente
Henri Jozef Machiel Nouwen (1932 – 1996) sacerdote olandese, è uno dei più grandi autori spirituali del nostro tempo. Dopo aver insegnato nelle Università statunitensi di Notre Dame, Harvard e Yale, ha dedicato gli ultimi anni di vita agli handicappati mentali della comunità de L’Arche presso Toronto, in Canada.
L’abbraccio benedicente
Meditazione sul ritorno del figlio prodigo
Incontro con un dipinto
Un incontro apparentemente insignificante con un poster raffigurante un particolare del Ritorno del figlio prodigo di Rembrandt ha messo in moto una lunga avventura spirituale che mi ha portato ad una nuova comprensione della mia vocazione e mi ha offerto nuova forza per viverla. Al centro di questa avventura ci sono un dipinto del diciassettesimo secolo e il suo artista, una parabola del primo secolo e il suo autore, e una persona del ventesimo secolo alla ricerca del significato della vita.
da “L’abbraccio benedicente”
Ogni settimana viene aggiunta qui una nuova selezione dal libro.
La storia comincia nell’autunno del 1983 nella cittadina di Trosly, in Francia, dove stavo trascorrendo qualche mese presso l’Arche, una comunità che ha aperto una casa a persone con handicap mentali. Fondata nel 1964 da un canadese, Jean Vanier, la comunità di Trosly è la prima di più di novanta comunità che L’Arche ha diffuso in tutto il mondo.
Un giorno andai a far visita alla mia amica Simone Landrien al piccolo centro di documentazione della comunità. Mentre parlavamo, il mio sguardo si posò su un grande poster affisso sulla porta. Vidi un uomo, avvolto in un grande mantello rosso, che con tenerezza poggiava le mani sulle spalle di un ragazzo scapigliato, inginocchiato ai suoi piedi. Non riuscivo a distogliere gli occhi. Mi sentivo attratto dall’intimità tra le due figure, il rosso caldo del mantello dell’uomo, il giallo dorato della tunica del ragazzo, e la luce misteriosa che avvolgeva entrambi. Ma soprattutto furono le mani – le mani del vecchio – mentre toccavano le spalle del ragazzo a colpirmi interiormente in un punto dove mai ero stato raggiunto prima. […] Quando lo vidi, il mio cuore ebbe un sobbalzo. Il figlio che torna a casa era tutto ciò che ero io e tutto ciò che volevo essere. Per tanto tempo mi ero spostato da un luogo all’altro: a incontrare persone, scongiurare, ammonire e consolare. Adesso desideravo solo riposare al sicuro in un luogo dove provare un senso di appartenenza, un luogo dove potermi sentire a casa.
[..] Poco prima di lasciare Trosly, fui invitato dai miei amici Bobby Massie e sua moglie, Dana Robert, a unirmi a loro in un viaggio in Unione Sovietica. Questa fu la mia reazione immediata: “Ora potrò finalmente vedere il dipinto vero!”. Da quando ho iniziato a interessarmi a questa grande opera, sapevo che l’originale era stato acquistato nel 1766 da Caterina la Grande per l’Ermitage di San Pietroburgo e che si trovava ancora in quella città. Mai avrei sognato di poterlo vedere così presto.[…] “tornare a casa” per me significava camminare passo passo verso Colui che mi attende a braccia aperte e mi vuole stringere in un abbraccio eterno. Sapevo che Rembrandt aveva capito profondamente questo ritorno a casa spirituale. Sapevo che quando Rembrandt dipinse il Figlio prodigo, aveva vissuto una vita che non gli aveva lasciato alcun dubbio sulla sua vera e definitiva casa.
Sabato, 26 luglio 1986, alle 2:30 del pomeriggio, andai all’Ermitage…. E così ero lì: di fronte al dipinto che aveva ossessionato la mia mente e il mio cuore per quasi tre anni. Rimasi sbalordito dalla sua maestosa bellezza. Ora lo vedevo dal vivo! Non solo il padre che abbraccia il figlio che torna a casa, ma anche il figlio maggiore e le altre tre figure. E’ un’opera enorme ad olio su tela, alta 243,84 cm per 182,88 cm di larghezza …] il dipinto era esposto nel modo più favorevole, su una parete che riceveva abbondante luce naturale da un’ampia finestra vicina. Nel complesso, trascorsi più di quattro ore con il Figlio prodigo, prendendo nota di ciò che sentivo dire dalle guide e dai turisti, di ciò che vedevo mentre il sole si faceva sempre più forte e poi man mano si affievoliva, e di ciò che provavo nella parte più segreta di me stesso, mentre diventavo sempre più parte della storia che un giorno Gesù aveva raccontato e che Rembrandt un tempo aveva dipinto.
Alcune settimane dopo aver visitato l’Ermitage di San Pietroburgo, arrivai a L’Arche di Toronto per viverci e lavorare come guida spirituale della comunità Sebbene mi fossi preso un anno intero per chiarire la mia vocazione e discernere se Dio mi stesse chiamando ad una vita con gli handicappati mentali, e sapendo ancor meno come si potesse annunciare il Vangelo di Gesù a persone che ascoltavano più con il cuore che con la mente ed erano molto più sensibili a ciò che vivevo che a quello che dicevo. Una delle prime cose che feci dopo il mio arrivo fu di cercare un posto adatto per appendere il mio poster del figlio prodigo. Il luogo di lavoro che mi fu assegnato si dimostrò ideale. Ogni volta che mi sedevo per leggere, scrivere o parlare con qualcuno, potevo vedere quell’abbraccio misterioso tra padre e figlio che era diventato una parte intima del mio itinerario spirituale.[…] Ma io ho mai veramente osato andare verso il centro, inginocchiarmi e lasciarmi accogliere da un Dio che perdona? Non avevo nemmeno la più vaga idea di quanto sarebbe stato difficile il viaggio, ogni piccolo passo verso il centro sembrava come una richiesta impossibile.
Ho cercato di capire gli alti e i bassi dell’animo umano, di discernervi una fame e una sete che solo un Dio il cui nome è Amore potrebbe soddisfare. Ho cercato di scoprire ciò che è duraturo al di là dell’effimero, ciò che è eterno al di là transitorio, l’amore perfetto al di là di tutte le paure inibitorie e la consolazione divina al di là della desolazione dell’angoscia e dell’estrema sofferenze umane. Ho cercato costantemente di puntare oltre la qualità mortale della nostra esistenza verso un presenza più grande, più profonda, più ampia e più bella di quanto possiamo immaginare, e di parlare di quella presenza come di una presenza che può essere già vista, sentita e toccata da coloro che sono disposti a credere.
E’ il luogo dentro di me dove Dio ha scelto di dimorare. E’ il luogo in cui mi sento al sicuro nell’abbraccio di un Padre tutto amore che mi chiama per nome e mi dice: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”
Questo luogo era sempre esistito. Ero sempre stato consapevole che fosse fonte di grazia. Ma non ero stato capace di entrare in esso e di viverci veramente. Gesù dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23) Io sono la casa di Dio!
Tornare a casa e stare dove Dio dimora, ascoltare la voce della verità e dell’amore, quello era veramente il viaggio che temevo di più perché sapevo che Dio è un amante geloso che vuole ogni parte di me, sempre.
Dio stesso mi ha mostrato la via. Non posso dire di esservi arrivato; non sarà mai in questa vita, perché la via verso Dio si prolunga molto al di là del confine della morte. E’ un viaggio lungo e molto faticoso, ma è anche pieno di sorprese meravigliose poiché ci offre spesso un assaggio della meta ultima.
Mi devo inginocchiare davanti al Padre, mettere l’orecchio contro il suo petto e ascoltare, senza interruzione, il battito del cuore di Dio. Sono chiamato a entrare nel santuario interiore del mio essere dove Dio ha scelto di dimorare. L’unica via a quel luogo è la preghiera, la preghiera incessante. Molte lotte e molto dolore possono aprire la strada, ma sono certo che solo la preghiera continua può consentirmi di entrare in essa.