4 – Mezzi di salvezza
Ma possiamo ancora pronunciare questo “sia fatta la tua volontà”, quando sappiamo più con certezza che cosa la volontà di Dio esige da noi? Possediamo mezzi per rimanere sulle sue vie, quando la luce interiore si spegne? Esistono mezzi del genere e mezzi così potenti che uno sbandamento, per quanto in linea di principio possibile, diventa in realtà infinitamente inverosimile. Dio è infatti venuto per redimerci, per unirci a sé, per rendere la nostra volontà conforme alla sua. Conosce la nostra natura. Ne tiene conto e ci ha quindi fatto dono di tutto ciò che può aiutarci a raggiungere il traguardo.
Il bambino divino è diventato il Maestro e ci ha detto che cosa dobbiamo fare. Per permeare tutta una vita umana di vita divina non basta inginocchiarsi una volta all’anno davanti alla mangiatoia e lasciarsi prendere dall’incanto della notte santa. A questo scopo bisogna stare quotidianamente in contatto con Dio per tutta la vita, ascoltare le parole che egli ha pronunciato e che ci sono state tramandate e metterle in pratica. Prima di tutto bisogna pregare così come il Salvatore ci ha insegnato a fare e ha continuamente e pressantemente raccomandato.
“Chiedete e vi sarà dato”. E’ una sicura promessa di esaudimento. E chi recita quotidianamente di cuore il suo “Signore, sia fatta la sua volontà”, può confidare di non tradire la volontà divina anche quando non ne ha più alcuna certezza soggettiva.
Inoltre: Cristo non ci ha lasciati orfani. Ha inviato il suo Spirito, che insegna a tutti noi la verità. Ha fondato la Chiesa, che è guidata dal suo Spirito, e ha istituito in essa i suoi rappresentanti, dalla cui bocca il suo Spirito ci parla in parole umane. In essa egli ha unito i fedeli in una comunità e vuole che ognuno sia responsabile di ogni altro. Pertanto non siamo soli, e dove viene meno la fiducia nel proprio giudizio e anche nella propria preghiera siamo soccorsi dalla forza dell’obbedienza e dalla forza dell’intercessione.
“E il Verbo si fece carne”. Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme. Ma si è adempiuto anche in un’altra forma. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Il salvatore, ben sapendo che siamo uomini e rimaniamo uomini quotidianamente alle prese con le nostre debolezze, viene in aiuto della nostra umanità in maniera veramente divina. Come il corpo terreno ha bisogno del pane quotidiano, così anche la vita divina aspira in noi ad essere continuamente alimentata. “Questo è il pane vivo, che è disceso dal cielo”. Chi lo fa veramente il suo pane quotidiano, in lui si compie quotidianamente il mistero del Natale, l’incarnazione del verbo. E questa è indubbiamente la via più sicura per conservare ininterrottamente l’unione con Dio e radicarsi ogni giorno sempre più saldamente e profondamente nel corpo mistico di cristo. So bene che ciò apparirà a molti un’esigenza troppo radicale. In pratica essa comporta per la maggior parte di coloro che cominciano a soddisfarla un rivoluzionamento di tutta la loro vita interiore e esteriore.
Ma appunto così dobbiamo fare!
Nella nostra vita dobbiamo far spazio al Salvatore eucaristico, affinché possa trasformare la nostra vita nella sua: è questa una richiesta esagerata? Abbiamo tempo per tante cose inutili: per leggere ogni genere di libri, riviste e quotidiani futili, per bighellonare da un caffè all’altro e passare quarti d’ora e mezze ore a chiacchierare per la strada, tutte ‘distrazioni’ in cui sprechiamo e disperdiamo tempo e energie. Non ci è proprio possibile riservare ogni mattina un’ora, in cui non ci distraiamo, ma ci raccogliamo, in cui non ci logoriamo, ma accumuliamo energia per poi affrontare col suo aiuto i nostri compiti quotidiani?
Ma naturalmente ci vuole di più di una sempre ora del genere. Essa deve animare tutte le altre, sì da rendersi impossibile “lasciarsi andare”, foss’anche solo momentaneamente. Non possiamo sottrarci al giudizio di colui che frequentiamo quotidianamente. Anche se non dice una parola, sentiamo qual è il suo atteggiamento nei nostri riguardi. Cerchiamo di adattarci al nostro ambiente, e se la cosa non ci riesce, la convivenza diventa un tormento. Così succede anche nei rapporti quotidiani col Salvatore. Diveniamo sempre più sensibili nel discernere ciò che gli piace e gli dispiace. Se prima eravamo tutto sommato molto contenti di noi, ora le cose cambiano. Troveremo che molte cose sono cattive e nei limiti del possibile le cambieremo. E scopriremo alcune cose che non possiamo ritenere belle e buone, e che può risultare tanto difficile cambiare. Allora diventiamo a poco a poco molto piccoli e umili, pazienti e indulgenti verso le pagliuzze presenti negli occhi altrui, perché abbiamo da fare con la trave presente nei nostri, e infine, impariamo anche a sopportarci nella luce inesorabile della presenza di Dio e ad affidarci alla sua misericordia, che può venire a capo di tutto ciò che si fa beffe delle nostre forze. Lungo è il cammino per passare dall’autocompiacimento del “buon cattolico”, che “compie i suoi doveri”, legge un “buon giornale”, “vota nella maniera giusta” ecc., ma per il resto fa come gli piace, ad una vita che si lascia guidare per mano da Dio ed è caratterizzata dalla semplicità del bambino e dall’umiltà del pubblicano. Chi però l’ha imboccato una volta, non lo rifà più a ritroso.
La vita filiale di Dio significa perciò divenire piccoli e nel medesimo tempo divenire grandi. Vivere eucaristicamente significa uscire spontaneamente dalla meschinità della propria vita e addentrarsi negli ampi spazi della vita di cristo. Chi fa visita al Signore nella sua casa, non si occuperà più solo e sempre di sé e delle proprie faccende, ma comincerà a interessarsi delle faccende del Signore. La partecipazione al sacrificio quotidiano ci immerge, senza che ce ne accorgiamo, nella vita liturgica. Le preghiere e i riti dell’altare ripropongono continuamente davanti alla nostra anima, nel corso dell’anno liturgico, la storia della salvezza e ce ne fanno penetrare sempre più profondamente il senso. E l’azione sacrificale ci impregna instancabilmente del mistero centrale della nostra fede, cardine della storia del mondo: del mistero dell’incarnazione e della redenzione. Chi può assistere con spirito e cuore aperto al santo sacrificio senza entrare a sua volta nel suo movimento, senza essere preso dal desiderio di inserire se stesso e la propria piccola vita personale nella grande opera del Redentore?
I misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Chi ne approfondisce uno, finisce per toccare tutti gli altri. Così la via che si diparte da Betlemme procede inarrestabilmente verso il Golgota, va dalla mangiatoia alla croce. Quando la santissima Vergine presentò il Bambino al tempio, le fu predetto che la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada, che quel bambino era posto per la caduta e la risurrezione di molti e come segno di contraddizione. Era l’annuncio della passione, della lotta fra la luce e le tenebre che si era manifestata già attorno alla mangiatoia!
In alcuni anni la Candelora e la Settuagesima, la celebrazione dell’incarnazione e la preparazione alla passione, cadono nello stesso giorno. Nella notte del peccato brilla la stella di Betlemme. Sullo splendore luminoso che irradia dalla mangiatoia cade l’ombra della croce. La luce si spegne nell’oscurità del venerdì santo, ma torna a brillare più luminosa, sole di misericordia, la mattina della risurrezione. Il Figlio incarnato di Dio pervenne attraverso la croce e la passione alla gloria della risurrezione. Ognuno di noi, tutta l’umanità perverrà col Figlio dell’uomo, attraverso la sofferenza e la morte, alla medesima gloria.