Un santo al mese: Edith Stein
Edith Stein o Teresa Benedetta della Croce – il nome scelto da lei per il suo cammino spirituale – è conosciuta per la sua suprema testimonianza del mysterium crucis.
Filosofa, ebrea, convertita, religiosa e martire, questa donna singolare porta la sua croce insieme a quella di Cristo per la salvezza del suo popolo, per la Chiesa e per il mondo intero. Dio accetta la sua offerta come “sacrificio espiatorio per la vera pace” e soprattutto per il popolo ebreo perseguitato e condannato a morte. Con la sorella Rosa percorre la strada che la conduce nel campo di sterminio di Auschwitz, dove muore con il suo popolo e ‘per’ il suo popolo. Non passivamente, ma nella consapevolezza che una ‘scienza della croce’ va sperimentata nella propria carne, fino in fondo, senza fuggire terrorizzata di fronte ad essa, ma abbracciando la croce di Cristo in fiduciosa speranza che essa si trasformi in segno di risurrezione: “Ave crux, spes unica”.
dagli scritti di Edith Stein
Ogni settimana viene aggiunto qui un nuovo scritto.
Gli anni di studio della giovinezza
Edith Stein nasce il 12 ottobre 1891 a Breslavia, ultima di sette fratelli, in una famiglia ebraica osservante. A scuola è sempre la prima in classe o tra le migliori delle ragazze. Superato brillantemente l’esame di maturità classica, s’iscrive all’università e frequenta corsi di germanistica, di storia e di psicologia sperimentale. Dopo due anni di studio a Breslavia, attratta dalla speculazione filosofica e dal sistema di fenomenologia di Edmund Husserl, si sposta a Gottinga, dove ben presto appartiene al gruppo dei giovani filosofi che attorno al celebre docente s’impegnano a superare il razionalismo idealista tedesco che nei primi decenni del nostro secolo era giunto al più acuto momento di crisi. Adolf Reinach, Max Scheler, Max Lehmann ed altri cercano ansiosamente una nuova via filosofica tra l’idealismo in crisi ed il materialismo storico dialettico che va diffondendosi. Sulla scia di Husserl schiudono nuovi ed interessanti campi di indagine, avvicinandosi all’idealismo emergente dell’intuizionismo di Bergson. Ma è soprattutto con l’intonazione ermeneutica della fenomenologia di Husserl che essi, influendo sull’esistenzialismo cristiano moderno, operano con forza di avanguardia. E’ in questa cerchia che si forma la giovane Stein, laureandosi in summa cum laude con una tesi sull’empatia; è una convinta atea, eppure è alla ricerca della trascendenza.
Qualcosa dell’antica tradizione di fede giudaica non si cancella mai in lei, anche se negli anni della giovinezza e dello studio non vuole pregare e ritiene incredibile l’esistenza di un Dio personale.
Ma nella misura in cui Edith non intende dare spazio a Dio nella sua vita, Dio le si fa incontro sulla stessa strada della sua instancabile ricerca di verità. Non erano inutili questi anni di incertezza ed irrequietezza interiore. Ella stessa li considera come tempo di maturazione verso la fede: “La mia ricerca di verità è stata una vera e propria preghiera”. Attraverso Scheler e Reinach comincia a conoscere il cristianesimo. Ammira il primo per la coraggiosa professione di fede. La vedova di Reinach nella sua cristiana rassegnazione per la perdita del marito in guerra le apre gli occhi sulla grandezza della croce. Alludendo a ciò, scriverà più tardi: “Fu il momento in cui la mia incredulità crollò, impallidì l’ebraismo, e Cristo si levò raggiante davanti al mio sguardo: Cristo nel mistero della Croce”
“Dopo il mio ritorno a Dio mi sono sentita ebrea”
E’ l’inizio di una lunga lotta per una decisione personale. L’ultima incertezza svanisce in seguito alla lettura dell’autobiografia di s. Teresa d’Avila. Leggendone alcuni capitoli in una notte passata nella casa di un’amica a Bergzabern, nella Selva Nera, capisce che la ricerca della verità non può sfociare in una filosofia, perché la verità è una Persona, il vivente e amato ‘Tu’ di Dio. “Questa è la Verità”, esclama e senza indugio chiede il battesimo cattolico. La conversione (1.1.1922) è radicale e convinta: la rende forte ad affrontare lo smarrimento della famiglia, le lacrime dell’anziana madre. Ma al tempo stesso in lei l’essere diventata cattolica, e non ritornata alla fede ebraica, non significa rottura con la religione dei suoi padri. “Per prima cosa, dopo il mio ritono a Dio, mi sono sentita ebrea”, dirà ritornando in seguito a questo argomento, felice di “appartenere a Cristo non soltanto spiritualmente, ma anche per discendenza”.
Non potendo farsi religiosa carmelitana come avrebbe desiderato, Edith si trasferisce a Spira, dove insegna tedesco presso l’Istituto Magistrale delle suore domenicane. Trascorre otto anni nel lavoro scolastico e formativo, dedicandosi alla preghiera e a delicate opere di carità. Nel 1928 scopre l’abbazia di Beuron con la splendida liturgia benedettina che rafforza in lei il senso della preghiera corale della Chiesa. L’esperienza delle Settimane Sante, passate in silenzio e profondo raccoglimento nell’abbazia traspare dalle pagine di un opuscoletto, intitolato La preghiera della Chiesa, pubblicato nel 1936.
La scienza della croce
Questa circostanza le apre le porte del Carmelo di Colonia, dove entra il 14 ottobre 1933. L’ultimo incontro con la madre è straziante. I parenti non comprendono il suo passo. Fuga dal mondo per mettersi in salvo? Tutt’altro. E’ convinta che anche al Carmelo non le sarebbe risparmiata la pesante croce che cominciava a pesare sul suo popolo. “Non è l’attività umana che ci può salvare”, dice nel primo colloquio alle grate del Carmelo alla superiora, “ma soltanto la passione di Cristo. Partecipare a questa è la mia aspirazione”. Nel desiderio di vivere in pienezza la sua partecipazione a Cristo crocifisso sceglie il nuovo nome: Teresa Benedetta della Croce. Quando in seguito alla sempre più accanita persecuzione degli ebrei ripara nel 1938 in Olanda, al Carmelo di Echt, scrive nella sua opera rimasta incompiuta, La scienza della croce: “quando parliamo di scienza della croce, non è da intendersi nel senso ordinario di scienza: non si tratta di una mera teoria, […] ma di una verità viva, reale e operante”.
Per questa verità accettata nel supremo amore per i fratelli e vissuta eroicamente, Edith si è lasciata condurre nel più profondo della croce. Muore “come la sposa dell’Agnello”, portando con il Signore “il carico enorme dei peccati dell’umanità”.
Al Carmelo Edith Stein continua la sua attività scientifica e termina il suo grande lavoro: Essere finito e essere eterno. Trova tempo per scrivere articoli, piccoli studi di carattere agiografico e spirituale, intessuti di motivi biblici, di immagini liturgiche, numerose pagine dedicate alla spiritualità del Carmelo. La meditazione teologica su Il Mistero del Natale appartiene invece al periodo di attività come conferenziera.
La notte di Natale e la notte della croce
Nel breve testo, pubblicato per la prima volta nel 1950 a Colonia, Edith lascia una profonda meditazione teologica vibrante di sentimento, che segue il fascino del racconto biblico […] la via di Betlemme conduce al Golgota. Nel tema della luce che viene nel mondo, essa ravvisa le tenebre che coprono la terra: “Alla luce […] si oppone cupa ed inquietante la notte del peccato”. Perché “il mistero dell’incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti”, fin dall’inizio della storia del cristianesimo: la strage dei bambini innocenti, l’uccisione di Stefano. Il presepio richiede dall’uomo “la decisione di scegliere tra la luce e le tenebre”. Il Bambino nella mangiatoia divide gli spiriti in pro e contro, in vita e morte. Non esistiamo più “gli uni accanto agli altri, come esseri singoli, autonomi e separati”, ma “siamo tutti una cosa sola” con Cristo. Il Bambino è sceso nel mondo “per essere un corpo misterioso con noi: egli è il nostro capo, noi le sue membra”. Parole dette una decina d’anni prima della Mystici Corporis di Pio XII!
Misticamente unificati in adesione perfetta con Cristo “possiamo amare i fratelli” non più come “estranei” o persone di cui “non ce ne importa alcunché”, ma con amore disinteressato, soprannaturale. Questo amore che si dona agli altri, è fortemente sottolineato in Edith, e con somma gioia lo ha trovato “estremamente vivo” al Carmelo di Colonia. “Dio è amore. E’ per questo che essere afferrati da Dio vuole dire essere infiammati dall’amore”, dirà in seguito alla lettura degli scritti di s. Giovanni della Croce. Per ora cerca di vivere questo amore inserita nel mistico corpo di cristo, con incrollabile fiducia “anche nella notte oscura della lontananza soggettiva da Dio e dall’abbandono soggettivo da parte di lui”.
Il mistero del Natale riguarda l’uomo in tutta la sua vita, colloca l’intera umanità dinanzi all’incarnazione su un cammino di fede oscura. Fin dal primo passo dentro la oscurità della fede, anche Edith percorre il suo rapporto con Dio nella convinzione che “l’oscurità […] è l’unico mezzo che conduce all’unione, dato che ci mette davanti agli occhi Dio, così come egli è, infinito, nel suo mistero trinitario”.
E così Edith Stein, che da laica e anche da monaca era stata tanto famosa da venire non solo onorata ma ricercata da molte persone di indiscussa autorità culturale, lei che era entrata di proposito nel “silenzio del Carmelo”, scomparve nel terribile silenzio di Auschwitz. Fu vista entrare, non fu più vista uscire: annullata fino in fondo.
Varcò quell’ultima soglia assieme a tanti altri: sua sorella Rosa, molte donne, molti bambini e adulti selezionati con l’occhiata esperta, scientifica e sbrigativa della crudeltà più disumana. Ella santificò con la sua presenza il dolore di quella povera gente. […] disse. “Qualunque cosa possa accadere, sono preparata a tutto. Gesù è qui in mezzo a noi”.
L’abito! Le interessava quel segno di consacrazione. Ma anche a lei, come a Cristo sul Calvario, furono tolte anche le vesti. Però certamente non le tolsero la veste del battesimo, così importante nella sua vita perché l’aveva profondamente cambiata.
Agli indifferenti e ai freddi ricorda ancora oggi che il cristianesimo vissuto è la vita vera per la realizzazione di se stessi. Lei che, da cristiana, volle tenersi unita al suo popolo perché era il popolo di Cristo.
SIGNORE, le onde sono agitate
e la notte è oscura:
non la vuoi tu rischiarare
per me, che veglio sola?
Tu mi dici.
“Reggi forte il timone con la mano
e sii fiduciosa e tranquilla.
La tua barchetta mi è cara,
la voglio guidare alla meta.
Solamente, con spirito fedele,
fissa sempre attenta la bussola:
essa aiuta a raggiungere il porto
nelle tempeste e nella notte.
L’ago vibra lieve,
torna di nuovo a fermarsi.
Ti mostra la direzione
verso cui io indirizzo il viaggio.
Resta fiduciosa e tranquilla:
nella tempesta e nella notte
ti guida la volontà di Dio
che ti è fedele se la tua coscienza veglia”
Il timone (1940)